sabato 13 novembre 2010

Note misantropiche di un filantropo dubbioso


"L’umanità, io l’ho divisa in due categorie di persone: Uomini e caporali.
La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, è la minoranza.
Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare per tutta la vita, come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza mai la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama.
I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza averne l’autorità, l’abilità o l’intelligenza ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo qualunque.
Dunque dottore ha capito? Caporale si nasce, non si diventa! A qualunque ceto essi appartengano, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso, hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi. Pensano tutti alla stessa maniera!"


Recitava così, il grande Antonio De Curtis in un suo emblematico, e per molti aspetti sempre attuale, film del 1955, nei panni del povero Totò Esposito: Siamo uomini o caporali?, interpretato con il bravissimo Paolo Stoppa. 
I momenti più significativi e rivelatori della nostra esistenza non sono tanto i grandi eventi, i momenti sensazionali, quanto piuttosto il modo in cui le persone agiscono o reagiscono nelle minute circostanze, nelle vicende di "piccolo cabotaggio"... E' lì che spesso, e di certo più significativamente, l'animo umano dà il meglio o il peggio di sé. Chissà quante coppie, se prestassero attenzione ai piccoli fastidi che la convivenza quotidianamente comporta (come si affetta il pane, come si spreme il tubetto del dentifricio, come si spolvera la mobilia...), potrebbero evitare le penose involuzioni e degenerazioni cui spesso, anzi sempre più frequentemente, è dato assistere, talora anche con esiti ferali... Un po' a guisa della goccia che, nel tempo, con inesorabile pazienza, scava la roccia più dura...
Ciò che colpisce, anche quando non ferisce, è la capacità di alcuni soggetti di arrivare a bassezze e meschinità tali da non ritenerle immaginabili se non allorché, per le ragione più svariate, se ne viene nostro malgrado a contatto... E, peggio ancora, l'apparente inconsapevolezza che sovente accompagna certi atteggiamenti o comportamenti... Nondimeno, non ho mai creduto al Bene e al Male assoluti, quali inviolabili e innate categorie dell'Essere, in certo senso predeterminate... C'è probabilmente sempre una ragione in ogni azione, parola, pensiero di un essere umano, sia che affondi in un presupposto contingente, concreto e consapevole, sia (ed è il caso più tipico) che le origini si perdano nel mare magnum del suo parastrato e sostrato psichico, nei meandri oscuri delle sue sedimentazioni e stratificazioni subconsce o inconsce. E probabilmente siamo tutti buoni o cattivi a seconda del momento, del luogo, della situazione, delle persone con cui ci interrelazioniamo, quanto meno fino a quando restiamo tenacemente attaccati al nostro microcosmo quotidiano, alle mendaci ed esiziali sirene del "desiderio" epicureamente inteso. Senza dimenticare che i concetti di Bene e di Male sono pur sempre concetti accettati o rigettati a seconda di precisi orientamenti o condizionamenti politici, religiosi, culturali e sociali.
E però questo non basta... "Caporale si nasce, non si diventa!", dice Totò Esposito nella pellicola su citata, ciò che non è in contraddizione affatto con il presupposto della "accidentalità", se si vuole della "relatività", del Positivo e del Negativo, giacché è indubbio che ci sono elementi personali, congeniti o ambientali (l'indole, l'educazione, le esperienza di vita...) che hanno un peso non irrilevante nel determinare gli approcci di ciascuno verso l'"alterità"...
I piani di valutazione sono, dunque, almeno due: la propria natura, il carattere individuale, che è sostanzialmente inalterabile, se non per elementi di dettaglio su cui intervengono fattori educativi, familiari, socio-culturali, empirici; e la propria capacità relativa e contingente di essere Bene o Male. Tentiamo una esemplificazione... Il Signor Rossi è per natura un timido; crescendo ha imparato a controllare e magari vincere la sua timidezza per necessità, ma nel suo intimo resta un timido che ritrova se stesso ogni qualvolta quella necessità, nella sua vita sentimentale, familiare, professionale, viene meno. Al Signor Rossi capita di trovarsi, ad un dato momento, al centro di una querelle in cui, vista l'implicita riproposizione della condicio necessitatis, si trova costretto, vincendo ancora la propria timidezza, ad assumere una audace posizione di tutela verso terzi o verso se stesso. Il portato della sua azione, provocherà ineluttabilmente due connotazioni del Signor Rossi, una positiva (Bene), laddove produce per qualcuno o qualcosa un beneficio o un vantaggio, ed una negativa (Male), allorché invece si riveli per chicchessia lesiva. Ciò non toglie che il Signor Rossi, resti alla fine, pur sempre il medesimo Signor Rossi... Ora, però, dove è individuabile la discriminante che può consentire all'osservatore esterno di stabilire, in modo inequivocabile, che il Signor Rossi è, in riferimento a quell'azione in particolare, ma anche più in generale, "uomo" piuttosto che "caporale"? La cosa non è facilissima, anche perché un ipotetico osservatore, pur nella più perfetta buona fede, non è MAI parziale, e MAI potrebbe, del resto, esserlo: esso stesso è soggetto a quella medesima doppia valutazione che regola l'azione (e prima il pensiero) del nostro Signor Rossi, e di cui si è detto sopra. Il criterio va quindi trovato a monte di entrambi, l'osservatore e l'osservato...
Quale criterio? Intanto un criterio che sfugga alla logica del Bene e del Male, altrimenti torneremmo al punto di partenza... Pensandoci su, ne potremmo individuare almeno uno... La Coerenza, per esempio... E' "uomo", e non "caporale", chi è coerente con se stesso, con il proprio Essere, senza derogare secondo convenienza, ovvero per paura o opportunismo, ai propri valori e principi, al coraggio delle proprie idee, dei propri pensieri, delle proprie parole e azioni e dei propri sentimenti, alla lealtà, al rispetto, alla dedizione verso l'altro e alla sua tolleranza. E la Coerenza si perfeziona solo quando ci sia una parallela assunzione di Responsabilità (secondo criterio?), fino a pagarne tutte le possibili conseguenze, derivante dall'essere coerente.
Forse, anche qui, potremmo però rifuggire la tentazione di porre un suggello perentorio di assolutezza, nel senso che potrebbe essere affatto lecito chiedersi se non siamo, alla fine, tutti, ad un tempo, uomini e caporali: in altri termini, passare dal "chi è (responsabilmente) coerente" al "quando si è (responsabilmente) coerenti"... Semmai è una questione "statistica" o di percentuale: quanto e quante volte siamo o ci comportiamo da uomini, anziché da caporali, o viceversa... Insomma, pare che alla fine il relativismo sia l'approccio migliore tout court, se non altro perché più rassicurante e cauto, se anche si considera che ciascuno di noi è, secondo il vecchio detto, il peggior giudice di se stesso, e che il giudizio altrui è spesso quello di chi vede pagliuzze nell'occhio del prossimo, senza accorgersi delle enormi travi che devastano il proprio... 
Ma probabilmente c'è un approccio ancora più basilare e icastico al dilemma dell'uomo e del caporale, che potrebbe esserne, tutto sommato, la chiave di lettura privilegiata... Affermare e ritenere, con il protagonista del film e Oscar Wilde (cui la frase è attribuita) una semplicissima verità: più si conoscono gli uomini, più si amano le bestie...

1 commento:

Anonimo ha detto...

Un’ analisi acuta, la quale riporta a quel concetto di relatività che in realtà fornisce maggiori risposte delle verità che si può credere di avere nel trascurarlo. LaMary