mercoledì 12 settembre 2007

Quattro nuove poesie

Le sette preghiere

La prima preghiera fu quella
smarrita d’un piccolo cigno,
il collo e il capo nell’ala nascosti,
quando ogni sera nel buio
demoni e ombre levavano foschi
atroci fantasmi
di brutto anatroccolo:
Miserere nostri Domine…
Chi son io? Che ne sarà di me, di noi?

La seconda preghiera fu quella
silente di un acerbo colombo,
rabbioso e pavido nel tubar vano
posticci amori, puerili sogni,
tenace e solitario nel suo volo
vago e rovinoso a vette eburnee
d’inesistenti empirei:
Miserere nostri Domine…
Perché io non sono? Perché ciò che è non è?

La terza preghiera fu quella
disperata d’un giovane falchetto,
rapace a ghermire, lesto a rapire,
tronfio e crudele d’orgoglio fatuo
nell’uccidere sperse pavoncelle,
ma cieco e protervo invischiato
nella pania che gli costò la pelle:
Miserere nostri Domine…
Allora io non sono?Allora ciò che è non è?


La quarta preghiera fu quella
mesta d’un torpido merlo indiano,
ormai immemore di ali, artigli e becco,
impastoiato e ben pasciuto su un crudo
trespolo, e ammaestrato a fare il verso
come comanda altera o divertita
la voce del padrone:
Miserere nostri Domine…
Quando io fui mai? Quando mai sarò?

La quinta preghiera fu quella
rassegnata d’un allocco,
immoto su di un ramo spoglio
tenuto a scranno, ridotto a borbottar
fiabe e sentenze che lava via la pioggia
e il sole asciuga, e affida al tempo
il suo rimpianto:
Miserere nostri Domine…
Dove io sono? Dove sarei?


La sesta preghiera fu quella
velleitaria d’una perfida poiana,
ormai matura e stanca, ma ancora
repentina e letale nell’attacco
con prede piccole e di facile cimento,
ma rostro e piume fragili non reggono
al cacciatore che la stende al vento:
Miserere nostri Domine…
Finché io sono? Finché sarò?

La settima, ultima preghiera fu quella
tormentata d’un vecchio gallo,
che si credeva un’aquila e finì cappone,
ormai incapace di cantare,
ormai incapace di creare,
mentre attende il suo momento trema,
senza salvifici Musicanti di Brema:
Miserere nostri Domine…
Poiché io non sono, né mai lo fui…

BREVI MEMORIE D’UN VECCHIO LAIDO

Dopo il temporale

Non scrivo poesie,
solo brutti versi
cacofonici,
perché vivo
incapace di vivere,
amo incapace d’amare,
prendo e non do,
ad esclusivo mio uso e consumo,
e sono un bieco, stronzo
figlio di puttana…

Questo sole in fuga
fra nuvole nere
non m’appartiene…

Paenitentiam agite

Fra vizio e virtù
ho praticato il primo
predicato la seconda…
La raccomando a tutti,
per deturparla meglio
a tradimento…

Urla di guerra, rulli di tamburi

Lo sguardo era vitreo,
perso nel vuoto,
le labbra restavano
livide e tremule,
la bocca emanava un rantolo
lamentoso e fioco,
che disegnava in aria
una parola ripetuta
con maniaca ossessione:
“MUOIO!!!”
immerso nello strazio immondo
delle sue viscere sparse
fra sperma, urina e merda.
Fu finito a calci
d’anfibio sulla testa…
Inutile sprecare colpi
preziosi… Non per lui…