mercoledì 4 luglio 2012

Maxence Fermine, L'apicoltore, Bompiani 2002: Impressioni di lettura

Aurélien Rochefer, il protagonista del romanzo, è un ragazzo che vive con il nonno nella Francia meridionale di fine ‘800, dove la fioritura, il raccolto e il commercio della lavanda scandiscono la placida e serena vita del paesello in cui è nato e risiede. Aurélien insegue da sempre un sogno, quello di cercare l’oro come ideale di amore per la bellezza della vita, ciò che non a caso non significa per lui avidità di ricchezze, bensì realizzazione di un alveare, perché le api rappresentano, con il loro colore, la loro dedizione ai fiori, l’ambrato frutto del loro lavoro instancabile, la più compiuta espressione di tale aspirazione. Un sogno, un amore che, nel giovane, si intreccia e si confonde con l’attrazione per una ragazza del paese, Pauline, la quale ricambia le sue attenzioni in un gioco di innocente seduzione. La distruzione accidentale dell’alveare, la visione ammaliante di una misteriosa donna bruna dalla pelle dorata che gli provoca un’infatuazione quasi ossessiva, l’inquietudine che lo spinge a non indugiare nella sua ricerca, inducono però Aurélien a lasciare tutto e a partire per terre lontane, lo Yemen e di lì l’Africa, dove varcherà le aride e infernali terre della Dancalia, in Abissina, fino alla regione di Harar, un viaggio in certo senso iniziatico, nel quale conoscerà svariati personaggi e situazioni, fino ad incontrare la misteriosa e sensuale donna dalla pelle d’oro: una sorta di sacerdotessa/regina, a capo di una comunità che raccoglie il miele nella inaccessibile Rupe delle api, montagna ritenuta sacra e non violabile da estranei. Sarà lei che farà conoscere al ragazzo le delizie erotiche del talamo, lasciandogli un prezioso omaggio prima di scomparire inopinatamente con la propria gente. L’impossibilità di far continuare oltre il suo aureo progetto di amore e bellezza vitale lo riporterà, attraverso altre provanti esperienze, al paese di origine per realizzarvi una ciclopica, quanto temeraria opera capace di dare senso e ragion d’essere al suo sogno: Apipoli, la città delle api, destinata nondimeno ad un ennesimo, colossale fallimento per un beffardo scherzo di natura. Ormai in rovina e pieno di debiti, privo per giunta di tutti gli affetti, dopo la morte del nonno e la rottura della promessa d’amore fatta a Pauline prima della sua partenza per l’Africa, a causa della sua passione per la donna conosciuta e amata in Abissinia, troverà finalmente il coronamento del suo vagheggiato sogno proprio nell’amore di Pauline che, nonostante tutto, è riuscito a sopravvivere e a veder premiata la sua dedizione, nonché nella pertinace volontà di non desistere comunque dalla sua “vocazione” di apicoltore.
             Il Sogno e la Realtà: variazione sul tema, potremmo sintetizzare il senso di questa graziosa favola, vincitrice del Premio Murat 2001, dove la ferrea volontà di inseguire e realizzare il primo (la ricerca dell’oro, che le api con il loro mondo disciplinato, magicamente misterioso, dai colori del sole, incarnano come simbolo di grazia e bellezza fatale) con quasi sfrontata determinazione, con un’audacia che non indietreggia neppure dinanzi agli ostacoli più duri e alle difficoltà più impervie, con un furor capace di imprese disperate e folli, pare puntualmente scontrarsi e ineluttabilmente naufragare con l’aleatoria, beffarda, imprevedibilità della seconda, ma solo per trarne la più banale, e tuttavia proprio per questo fondamentale, delle morali: non cercare troppo lontano ciò che è e hai sempre avuto accanto a te.
Potremmo anche tentarne una lettura allegorica, una sorta di percorso iniziatico, che attraverso le tappe circolari di una cartarsi onirica, porta l’individuo ad un livello di coscienza e consapevolezza mature, in cui l’Essere si realizza al fuori della illusoria e fascinosa sicumera di speciosi specchi ustori, di peregrini Eldoradi fascinosi, ma esiziali come insidiosi canti di sirena.
Una simile lettura potrebbe trovare sostegno sul carattere simbolico di alcuni elementi enucleabili dal contesto… Penso, ad esempio, uno fra tutti, alla ricorrenza quasi programmatica del numero sette che, come noto, ha una valenza numerologica atta a rappresentare il compiuto equilibrio ed il perfezionamento della natura umana… Ma qui il discorso porterebbe lontano, ben al di là di queste corsive osservazioni di mediocre lettore, e forse ben oltre le intenzioni stesse dell’autore...