Mercoledì 18 luglio ad Osmannoro, in quel di Sesto Fiorentino (FI), il Rock Festival "Italia Wave" (17-22 luglio), alla sua prima edizione nella nuova veste di cui si è rivestita la vecchia "creatura" di Mauro Valenti, "Arezzo Wave", dopo la rottura e le polemiche con l'Amministrazione aretina, ha visto chiudere la serata del Main Stage con l'esibizione live degli Scissor Sisters. La band newyorkese (i due cantanti Jake Shears e Ana Matronic, il batterista Paddy Boom, Del Marquis alla chitarra e al basso, Babydaddy a basso, chitarra, banjo, tastiere) ha iniziato il proprio show verso mezzanotte e un quarto, come da programma, proponendo i propri successi con tutta l'energia, l'irriverenza, l'impatto scenico di cui sono capaci. La ricetta che rende interessante questo gruppo di artisti è una piacevole miscela di ingredienti sapientemente dosati: il loro prodotto musicale spazia nella musica anni '70 e '80 e ne attinge disinvoltamente, con espliciti richiami alla disco, al genere dance, ma anche al pop e al rock di quegli anni (giusto per fare qualche esempio, si pensi all'originale rifacimento di Confortably Numb dei Pink Floyd, che farà sì storcere il naso ai cultori del genere, ma che è un interessante "esperimento" musicale se analizzato in sé; o agli espliciti riferimenti scenico-musicali ad un Elton John, che non a caso ha duettato con loro nel singolo I Don't Feel Like Dancin'). Buon sound e motivi orecchiabili, trascinante groove, testi accattivanti, furba irriverenza e massiccia ironia, con ostentati richiami, spesso oculatamente riveduti e corretti, ai filoni del glam-rock, del trash, del gay-look, che fanno pendant con indubbie doti musicali e istrioniche. Piacevoli per le orecchie, divertenti per gli occhi!!!
sabato 21 luglio 2007
mercoledì 11 luglio 2007
Lou Reed ad Arezzo e lo "Zoo" di "Berlin"
Domenica 8 luglio si è chiusa in Piazza Grande la nuova quattro giorni aretina di full immersion culturale (musica, teatro, letteratura, new media), il Play - Arezzo Art Festival, con il concerto dell'artista newyorkese Lou Reed. Concerto-evento sulla carta per due motivi. Intanto, perché si trattava della seconda delle due uniche date italiane della sua tournée (l'altra è stata a Roma venerdì 6 luglio), conclusive del tour europeo (lo spettacolo ha debuttato nel dicembre 2006 a New York, per trasferirsi quindi in Australia); ma, soprattutto, per il fatto che costituisce la messa in scena musicale di quello che è considerato forse il capolavoro della carriera musicale di Reed, il concept-album "Berlin" del 1973, mai prima d'ora eseguito dal vivo.
Ad accompagnare il rocker, un coro di voci bianche (dodici fra bambine e bambini), una sezione sinfonica composta da tre archi (violoncello e due violini) e quattro fiati, oltre alla band formata dalla cantante Sharon Jones, dal chitarrista Steve Hunter, da Rob Wasserman al contrabbasso elettrico, da Tony Smith alla batteria, dal bassista, chitarrista, cantante Fernando Saunder e da Rupert Christie alle tastiere. Nel team di Reed che ha collaborato alla realizzazione del tour, troviamo, altresì, alcuni importanti nomi del panorama artistico-musicale internazionale, uno fra tutti lo storico Bob Ezrin, già produttore originario dell'album.
Di "Berlin" è stato detto e scritto a profusione: opera choc per i tempi, risultò subito talmente cupa, introspettiva e desolante, nonché di inaspettata, drastica svolta rispetto al Lou Reed versione glam-rock fino ad allora noto ed apprezzato, segnatamente in seguito al recente successo mondiale di "Transformer", da essere brutalmente stroncata dalla critica e dal pubblico statunitensi al momento della sua uscita e da non avere più di tanto clamore neppure in Europa, dove peraltro fu maggiormente compresa. Ad essa Reed affida quasi prepotentemente, in consapevole rottura con le logiche commerciali dello star system, la lucida, spietata, metaforica sintesi di un disagio profondo, di un malessere esistenziale ad un tempo personale e generazionale, in cui si tratteggiano con lirica incisività, fino al tragico epilogo, paure, straniamento, incomunicabilità e male di vivere, nella loro più devastante ed esiziale deriva psicologica, affettiva, familiare. Chissà perché, ma non è forse un caso, tornano alla mente quasi per immediato richiamo, le scene del film di Danny Boyle, Trainspotting, del 1996, il cui incipit pare essere una sorta di postuma chiosa al lavoro di Reed (per inciso, Just a Perfect Day, se non ricordo male è una delle canzoni del film...): « Scegliete la vita, scegliete un lavoro, scegliete una carriera, scegliete la famiglia, scegliete un maxitelevisore del cazzo, scegliete lavatrice, macchine, lettori cd e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita, scegliete un mutuo a interessi fissi, scegliete una prima casa, scegliete gli amici, scegliete una moda casual e le valigie in tinta, scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo, scegliete il fai da te e chiedetevi chi cacchio siete la domenica mattina, scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare. Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi, scegliete un futuro, scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita, ho scelto qualcos'altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni, chi ha bisogno di ragioni quando ha l'eroina?... »(Wikipedia, s.v. Trainspotting). Il film di Boyle è stato tratto dall'omonima opera prima di Irvine Welsh, pubblicata nel 1993... Come dire che, a trent'anni esatti di distanza, mutatis mutandis, quel disagio, quei malesseri restavano ancora affatto validi e, temo, lo restino a tutt'oggi.
Di "Berlin" è stato detto e scritto a profusione: opera choc per i tempi, risultò subito talmente cupa, introspettiva e desolante, nonché di inaspettata, drastica svolta rispetto al Lou Reed versione glam-rock fino ad allora noto ed apprezzato, segnatamente in seguito al recente successo mondiale di "Transformer", da essere brutalmente stroncata dalla critica e dal pubblico statunitensi al momento della sua uscita e da non avere più di tanto clamore neppure in Europa, dove peraltro fu maggiormente compresa. Ad essa Reed affida quasi prepotentemente, in consapevole rottura con le logiche commerciali dello star system, la lucida, spietata, metaforica sintesi di un disagio profondo, di un malessere esistenziale ad un tempo personale e generazionale, in cui si tratteggiano con lirica incisività, fino al tragico epilogo, paure, straniamento, incomunicabilità e male di vivere, nella loro più devastante ed esiziale deriva psicologica, affettiva, familiare. Chissà perché, ma non è forse un caso, tornano alla mente quasi per immediato richiamo, le scene del film di Danny Boyle, Trainspotting, del 1996, il cui incipit pare essere una sorta di postuma chiosa al lavoro di Reed (per inciso, Just a Perfect Day, se non ricordo male è una delle canzoni del film...): « Scegliete la vita, scegliete un lavoro, scegliete una carriera, scegliete la famiglia, scegliete un maxitelevisore del cazzo, scegliete lavatrice, macchine, lettori cd e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita, scegliete un mutuo a interessi fissi, scegliete una prima casa, scegliete gli amici, scegliete una moda casual e le valigie in tinta, scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo, scegliete il fai da te e chiedetevi chi cacchio siete la domenica mattina, scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare. Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi, scegliete un futuro, scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita, ho scelto qualcos'altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni, chi ha bisogno di ragioni quando ha l'eroina?... »(Wikipedia, s.v. Trainspotting). Il film di Boyle è stato tratto dall'omonima opera prima di Irvine Welsh, pubblicata nel 1993... Come dire che, a trent'anni esatti di distanza, mutatis mutandis, quel disagio, quei malesseri restavano ancora affatto validi e, temo, lo restino a tutt'oggi.
Per la necessità e la difficoltà di seguire con la massima attenzione, al fine di penetrarne le trame più riposte, l'ordito della storia di Jim e Caroline, questa sorta di "film for the ears", come è stato felicemente definito "Berlin", per quindi meglio collegare e raccordare gli "scorci" intimistici o situazionali che le singole canzoni forniscono nel loro concorrere alla creazione del percorso lirico-narrativo dell'album, forse si sarebbero richieste, a livello organizzativo, modalità di ascolto più consone all'evento... Intanto, posti a sedere e non ad ingresso libero, nonché un qualche materiale a carattere introduttivo o esplicativo dei significati dell'opera e della sua valenza... L'inglese non è lingua da tutti padroneggiata e non tutti hanno forse avuto il tempo o la voglia di riascoltarsi l'album. Si scelga se si vuole fare della cultura di nicchia, per pochi eletti, oppure se la si vuole rendere un bene fruibile per tutti... Ma una volta scelto, visto che, per giunta, il numero fa pecunia, si dia almeno la giusta considerazione a chi la merita, se non altro perché paga un biglietto, magari s'è sottoposto a faticosi spostamenti, attende per ore sotto il sole, e via dicendo...
Concludiamo solo ricordando i tre "bis" (mi si passi questa specie di curioso ossimoro), dal sapore nazional-popolare: Sweet Jane, Satellite Of Love e Walk On The Wild Side... A seconda di come la si vuol vedere, il tributo allo star system... O un regalo più "rilassato" e rockettaro ai numerosi fans (circa 6.000, secondo le stime ufficiali)...
Finalmente il sito web dei DISCOrDANCE!!!
Certo, meglio tardi che mai... Ma alla fine ce l'abbiamo fatta: anche noi abbiamo il nostro "posto al sole", ovvero il sito web della band, che ha fatto per noi l'impareggiabile e bravissimo amico Dario Conti (un enorme grazie da tutti i DISCOrDANCE!!!). L'indirizzo, che è anche riportato nella sottostante sezione "Siti amici", è: http://www.discordance.it/. Vi trovano foto, demo e informazioni su di noi e la nostra attività musicale... E adesso al lavoro per cercare serate e ingaggi vari...
sabato 7 luglio 2007
Peter Gabriel in concerto ad Arezzo
Ebbene sì... Ad Arezzo habuimus Petrum: Peter Gabriel, uno degli artisti più creativi, innovativi, longevi della musica pop-rock, dall'epoca d'oro del progressive con i Genesis alle più recenti sperimentazioni musicali, giovedì 5 luglio scorso ha aperto la rassegna PLAY-Arezzo Art Festival, quest'anno alla sua prima edizione, in sostituzione del tanto discusso Arezzo Wave migrato verso altri lidi (quelli di Osmannoro 2000, con il nuovo nome di Italian Wave). Data, quella aretina, inserita nel Warm up Tour. Summer '07 del musicista inglese dopo Brescia (2 luglio) e Roma (3 luglio), e immediatamente antecedente all'esibizione in Piazza S. Marco a Venezia del 6 luglio, quarto e ultimo degli appuntamenti italiani del Tour. Nello stupendo e suggestivo scenario di Piazza Grande, appesantito nel fisico (si invecchia tutti, ahimè!), ma ancora smagliante quanto a timbro vocalico, capacità istrioniche e teatralità, Peter Gabriel ha proposto in due ore abbondanti di concerto una scaletta singolare, giacché frutto delle richieste fatte dai fans attraverso il forum del suo sito web (http://www.petergabriel.com/), come egli stesso ha precisato. Presentando buona parte delle sue esecuzioni con un'introduzione in italiano, il Nostro ha peraltro rivelato quella disponibilità e considerazione del pubblico che solo i grandi artisti (pochi, invero...) sanno abbinare al loro talento. Riproposti, ovviamente, i brani più significativi ed emblematici della sua lunga e prolifica carriera, fino al conclusivo Biko, impeccabilmente eseguiti dalla band che accompagna Gabriel in questa sua tournèe estiva: gli storici Tony Levin (basso, contrabbasso elettrico e stick) e David Rhodes (chitarra), la figlia Melanie Gabriel, che oltre come corista ha eseguito da solista Mother of Violence, le new entries Angie Pollock (tastiere e cori), Ged Lynch (batteria) e Richard Evans (chitarre, xilofono, tin whistle). Le capacità creative di Peter Gabriel, nella costante ricerca di sonorità, linee ritmiche, soluzioni e sperimentazioni melodico-armoniche, che ne hanno fatto, unitamente all'impegno sociale e all'originalità dei testi e delle trovate sceniche, ormai una sorta di moderno e indiscusso guru nel panorama della musica "colta" moderna, non hanno bisogno di ulteriori commenti. Ci piace quindi, a chiusura di queste note, aggiungere solo l'emozione scaturita dal vedere un mini-esercito, vario e brizzolato, di attempati fans (quarantenni, cinquantenni, ma anche oltre), zainetto in spalla e l'entusiasmo eccitato degli adolescenti, nel suo lento e sparpagliato procedere verso il luogo del concerto, l'attesa paziente in fila per l'ingresso, il sit-in sulle antiche pietre del selciato, con panini, bottigliette d'acqua e talora un libro o un giornale, e l'esplosione fremente e dimentica degli anni quando la magia della musica, quella buona davvero, prende finalmente il sopravvento.
mercoledì 4 luglio 2007
Transformers. The Movie
Due parole di commento merita la visione del piacevole film Transformers. Their War, Our World di Michael Bay per Dreamworks LLC & Paramount Pictures (fra i produttori esecutivi figura anche Steven Spielberg), trasposizione cinematografica dei celebri giocattoli che, da comuni mezzi (auto, camion, elicotteri e chi più ne ha più ne metta...), si trasformano in potenti alieni-robot, per una combinazione particolare di metallo, apparati meccanici ed elettronici e tessuti biologici. La trama è semplicissima: un 4 luglio dei nostri tempi, il nostro pianeta si ritrova, inopinatamente, ignaro e letale teatro dello scontro finale di opposte forze aliene, le une prodotto benefico del Potere derivato dal misterioso Cubo Allspark, le altre esito malefico e distruttivo dello stesso. Per Autobots e Decepticons, rispettivamente - questi i nomi dei due gruppi rivali -, è indispensabile riprendere il controllo di Allspark, giacché esso è il dispensatore dell'energia fonte della loro stessa esistenza, ed è accaduto che il Cubo, per ignote ragioni, dopo esser giunto nel loro pianeta di origine, chissà quando e inviato chissà da chi, e aver dato vita al loro mondo, Cybertron, se ne è allontanato, vagando nell'universo fino a giungere sulla Terra. Gli umani si ritrovano dunque ad essere vittime della potenza devastante delle forze malvagie guidate dal feroce Megatron, che per recuperare il Cubo non esiterà a sterminarne l'intera razza. Ma in soccorso arrivano i Transformers buoni, capeggiati dal loro leader Optimus Prime, e grazie alla singolare alleanza di costoro con un manipolo di militari delle truppe d'élite statunitensi, guidati dal Capitano Lennox (l'attore Josh Duhamel) e dal Sergente Ebbs (Tyrese Gibson), le forze governative, nella persona dell'accigliato Segretario alla Difesa U.S.A. John Keller (un compassato Jon Voight), ma soprattutto l'inaspettato eroico nerd Sam Witwicky (interpretato da un bravo e simpatico Shia LeBeouf), alla fine il bene vince sul male e tutti vissero felice e contenti (sicuri? Vogliamo scommettere sul sequel?).
Gli ingredienti della ricetta sfornata da Bay sono quelli soliti di mille film americani di genere, con la più classica contrapposizione dei due schieramenti, l'uno totalmente perfido e abominevole, l'altro probo e nobile per definizione; con la pupa e il secchione di turno e le grazie della medesima prima rivolte - suo malgrado poverina (ma chi le obbliga 'ste qui?) - ai belloni ricchi e stronzi, oltreché scemi (cribbio, almeno un difetto!), poi ai rospetti sfigati perché in fondo sono belli dentro (ma solo nei film, e in questi film, eh?!); con azioni fracassone e rocambolesche ed effetti speciali tanto costosi quanto davvero superlativi...
Ma che cosa invece rende il film gradevole, fresco, accattivante fino alla pur scontata conclusione? Indubbiamente la rivisitazione spiritosa, a tratti fortemente ironica, a tratti spassosamente comica, con cui questi topoi sono riproposti... Il film diviene scanzonato, non si prende mai sul serio, non indugia in ampollose retoriche moraleggianti più o meno latenti... Si pensi al ritratto dissacrante della famiglia americana benestante, con le sue paranoie e le sue fobie, fatto però con levità, senza orpelli didascalici, ciò che per altro ne accentua l'incisività, la capacità - attraverso il ridicolo - di colpire lo spettatore; o al Presidente degli Stati Uniti, nell'unica scena che lo ritrae, spaparanzato su di un letto nell'Air Force One, il volto del quale si nasconde dietro ai suoi piedi coperti da vistose calze rosse, preoccupato solo dei suoi cocktails mentre un mini-Transformer sta sabotando, a bordo del suo stesso aereo, i sistemi telematici ed informatici di difesa e comunicazione delle nazione; o ancora agli apparati di sicurezza della segreta Sezione 7 guidati dall'agente Simmons (interpretato da un convincente John Turturro), schizzatissimo e strafottente; o al buffissimo hacker Glen Withmann (Anthony Anderson), la cui singolare genialità cozza con un totale infantilismo naif... Per non tacere della stesse scene in cui gli enormi Transformers buoni finiscono nel giardino, maniacalmente curato, di casa Witwicky, ovviamente finendo per distruggerlo completamente, o ancora quando l'auto di Sam, che in realtà è - ma ancora lui non lo sa - il suo Transformer-guardiano Bubblebee, si offre di fare, sintonizzando la radio su musiche romantiche e con trovate ad hoc, da paraninfo onde agevolare i goffi tentativi del ragazzo per conquistarsi le grazie della bella compagna di scuola, e quindi di avventure, Mikaela Banes (la stupenda Megan Fox)...
Insomma, da vedere...
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