Traduzione poetica di Q. Orazio Flacco, Ode I, 11
Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros. Vt melius, quidquid erit, pati,
seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum! Sapias, uina liques et spatio breui
spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit inuida
aetas. Carpe diem, quam minimum credula postero.
(Metro: Asclepiadeo maggiore)
Traduzione libera:
Non chiedere, Leuconoe, che sorte
ci abbian serbato i Celesti
- chi può saperlo? -,
lascia perdere le cabbale caldee…
Meglio mille volte il buio incerto del futuro…
Che importa se Giove
molti altri inverni,
o questo solo, l’ultimo,
che frange i marosi sugli scogli,
ci avrà concesso.
Dammi retta, versa il vino…
La vita corre breve, inutile speranza l’avvenire:
parliamo e già tiranno il tempo vola via…
Cogli l’oggi, e al domani non pensare…
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